Diario del 22° Giorno Oslo

24 Luglio 2002,

Ci svegliamo in un vero letto! Siamo ancora storditi dagli stravizi di ieri (ma sarà vero?). Avevamo messo la sveglia alle 8.30, ci alziamo solo mezz'ora dopo.

Abbiamo voglia di vedere alcune cosette, e non si può fare troppo tardi.

Usciti sotto una pioggerellina fina fina (chi con la giacca a vento, chi senza), facciamo un biglietto giornaliero per i mezzi pubblici (50 corone). Ci sono tram, autobus e linee di metropolitana a go-go. Prendiamo la linea 30 (autobus) e andiamo a visitare il museo delle navi vichinghe.

C'è subito da dire che questo è un museo vero, niente a che vedere con glia altri che abbiamo visto fin'ora. Paghiamo volentieri le 40 corone del biglietto (se proprio vogliamo dirla tutta, però, anche qui ci sarebbe un sistema più economico per entrare, ma non si fa).

All'interno del museo sono esposte tre grandi barche vichinghe, scoperte fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Erano parte di ricchi corredi funerari, il cui contenuto fa bella mostra di sé completando l'esposizione. Vi sono oggetti d'uso quotidiano (telai, finiture per animali, attrezzi agricoli, stoviglie), slitte e un bel carro intarsiato.

A funestare una così bella visita non potevano mancare i soliti fastidiosissimi coreani (diverse tribù, si direbbe). Incredibile come non abbiano alcun rispetto degli altri visitatori: Anche gli altri turisti (belgi, inglesi, due italiani dall'accento irrintracciabile e addirittura un manipolo di giapponesi) mostrano lo stesso nostro disappunto di fronte a questa furia incontrollabile.

Per neutralizzare i coreani nei musei è sufficiente un semplice stratagemma. Bisogna tirare fuori tutta l'ignoranzità di cui si è capaci, andandola a scovare negli angoli più bui di se stessi. Inutile passare avanti alle loro foto come fanno loro con le nostre (non se ne accorgono neppure). È più efficace alzare i gomiti, piantare bene a terra entrambi i piedi (meglio se divaricati), piegare leggermente le ginocchia in modo da ottenere l'equilibrio più stabile possibile e fingersi un albero. I coreani nei musei, infatti, hanno i minuti contati e il loro approccio con una teca ha la durata di un battito di ciglia. Se resistete 25 secondi l'ondata di marea sarà passata e voi potrete continuare la vostra visita senza ulteriori complicazioni. Provare per credere.

All'uscita del museo siamo fortunati a prendere l'autobus al volo. Piove ancora. Scendiamo alla stazione centrale, per informarci sull'orario dei treni per l'aeroporto. Sulla piazza è allestito un praticissimo ufficio informazioni (Trafikanten).

La tappa successiva (ancora a stomaco vuoto) è la Galleria Nazionale (paradosso di un sistema: ingresso libero). All'interno c'è un assortimento di opere di un certo livello (oltre ad opere di autori a noi ignoti): innanzitutto Munch, poi Degas, Gauguin, Matisse, Cézanne, Van Gogh, Picasso, Modigliani, Manzù, Rubens, El Greco, Goya... se qualcuno è stato omesso ci scusiamo con lui. L'unico appunto, ancora una volta, è sull'organizzazione del materiale esposto: Un guazzabuglio nel quale noi non siamo riusciti a riconoscere alcun criterio: non cronologico, non tematico, non stilistico. Anche la sala dedicata interamente a Munch (autore dal talento allucinato e dall'impronta artistica in continua evoluzione), non vede accostate opere che riflettano un qualsiasi tipo di percorso. Ci sembra che il criterio principe sia l'alternanza di un quadro grande e uno piccolo (un po' come dal dentista), o comporre sale di tele con cornici simili. Gianfranco inizia per primo a manifestare sintomi di denutrizione, ed abbandona la mostra, gli altri resistono fino al terzo piano (acqueforti, esercizi di stile, autori contemporanei...) ed alla sezione dei gessi (ove si trovano accostati il discobolo, il David del Verrocchio ed una scultura assira del 2400 a.C.). 

Usciti dal museo sembriamo quattro anime in cerca di pace. Sono le 14 e noi siamo digiuni da ieri sera. Non si trova facilmente una bakeriet in queste strade molto commerciali. In quelle che troviamo la dimensione dei panini è inversamente proporzionale al loro prezzo (e quest'ultimo è = costante). Decidiamo di scendere al porto (capirai, con 35 punti di ristoro ne troveremo uno che faccia al caso nostro!). I prezzi delle bakeriet al porto sono allineati con quelli del centro città. Facciamo buon viso a cattivo gioco. Pippo è felice di aver trovato solo un ciabatta con maionese, mais, funghi, peperoni, carciofini e mezza fetta d'ananas (è il caso di dire "dulcis in fundo"): Questa batte anche il paté di mele e olive.

Dopo pranzo (sempre sotto l'acqua) completiamo la visita della città (pur sapendo di aver lasciato da parte mille cose di un certo interesse) col castello di Akershus. Un bel parco per questa fortezza del 1300, poi rimodernato in palazzo rinascimentale.

All'interno c'è anche una mostra per i settecento anni della struttura, un piccolo museo della resistenza norvegese, una sala con modellini e piante di Cristiania (la vecchia cittadella attorno alla fortezza). Seguiamo il passaggio della guardia armata (scenografico, almeno fino al momento in cui la ronda gira l'angolo e inizia a fumare) e le operazioni di approvvigionamento di un transatlantico gigantesco (dal quale supponiamo che siano calate le tribù coreane che abbiamo affrontato stamattina).

Terminata la fase culturale, e sempre più stanchi, ci abbandoniamo ad uno shopping svogliato, al centro commerciale Oslo-city (zona stazione). Fatta la spesa per la cena (in casa) per risparmiare capitali da reinvestire più proficuamente all'Horgan's pub (dalle valchirie) ci separiamo: Ale (che non maneggia denaro da quando ha lasciato l'Italia) rientra in albergo con la spesa, gli altri concludono le spese in centro.

Ci ritroviamo in albergo alle 18. Ale aggiorna i diari, Pippo compila i moduli per il rimborso dell'iva (per acquisti al di sopra di 310 corone in negozi con insegna Tax-free, si ha diritto a un rimborso parziale dell'iva al momento della partenza se si è residenti fuori dalla Scandinavia). Pierluigi, accucciato sul letto, prepara le ultime cartoline, Gianfranco si fa una rapida doccia e schiaccia un pisolino. Si sveglierà solo alle 9 meno dieci. Ceniamo insieme (assaggiando, tra l'altro, una crema spalmabile al gusto di pere, mele, ciliegie, pesche, albicocche e maionese: praicamente un'insalata di macedonia) ed usciamo.

Dopo quattro passi arriviamo al pub e ci fermiamo a vedere in TV la sintesi della tappa di oggi del Tour de France). Il locale ieri era una bolgia, oggi è semivuoto; noi siamo incuriositi, e facciamo mille ipotesi sui meccanismi che governano quest'altro aspetto schizofrenico delle città norvegesi, imprevedibili come la terra che le ospita. Alcune cose ci sono abbastanza chiare:

Il reddito qui è altissimo, come anche i prezzi al consumo (circa il 60% in più rispetto ai nostri), ma il costo della vita (e le abitudini) non sempre sono alla portata della gente. A queste condizioni i divertimenti serali sono davvero un lusso. Siamo abituati a vedere la gente nei locali spendere 30-40 €, uscire mettersi in coda (letteralmente) davanti ai minibank (i bancomat), prelevare denaro e spostarsi in altri locali per ricominciare da capo. La notte di Oslo è un carosello di taxi, incolonnati di fronte ai pub in attesa dell'uscita della gente. Qui le norme stradali anti-alcol sono rigidissime, e per i trasgressori (oltre alla multa e al ritiro della patente) è prevista anche la detenzione. Chi esce deve giocoforza rinunciare a guidare, e il costo delle corse notturne in taxi non deve essere cosa da poco.

Sembra che i ragazzi alternino serate folli ad altre tranquille a casa, e che comunque (per l'abitudine di girare per più locali nella stessa serata) non abbiano punti di ritrovo abituali. Infine pare che nelle loro scorrazzate notturne si concentrino dove vedono più caciara (termine, suppongo, noto a tutti).

Noi rimaniamo fin verso la mezzanotte, con un occhio alla televisione e uno alla grande vetrata (come un altro schermo sintonizzato su Oslo by-night). Riceviamo (ne siamo lieti) una chiamata dal Woody (ignaro della nostra sorte). Per chiudere la serata facciamo un lungo giro fino all'Akerbrygge (tre locali ancora aperti) e ci gustiamo una bella mostra fotografica all'aperto con gigantografie da tutto il mondo. Ale già le conosce, per aver visto (e sfogliato integralmente) il bel libro che le raccoglie in una libreria romana.

Rincasiamo (sempre sotto un po' di pioggia) facendo lo slalom fra i taxi e decidendo gli ultimi movimenti di domani.

 

Galleria di immagini:

Al museo delle navi vichinghe: foto 1   foto 2   foto 3   foto 4   foto 5   foto 6

Akerbrygge

Akershus

La cena

a zonzo per la città: foto 1   foto 2   foto 3

 

 

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